Beccaria, G. L. Dizionario di linguistica, pp. 670-674. Sintassi (gr. syntaxis 'combinazione, ordine, disposizione'). Insieme alla → fonologia, alla → morfologia ed alla → lessicologia, la costituisce una delle branche fondamentali della linguistica, occupandosi specificamente delle regole e dei principi che nelle lingue naturali sovrintendono al collegamento ed alle relazioni tra le categorie grammaticali. Sintassi, come morfologia e fonologia, è termine polisemico, in quanto non solo indica lo studio delle relazioni tra gli elementi linguistici, ma anche l'oggetto di tale studio, sia in riferimento ad uno specifico sistema linguistico che in analisi contrastive. La definizione tradizionale di s come analisi delle modalità con cui le -> parole si combinano in unità di estensione maggiore, cioè le → frasi, si può far risalire fino alla riflessione grammaticale antica, sia greca che latina (ad es. Dionisio Trace, Varrone, Quintiliano, Apollonio Discolo, Prisciano). Ma la scelta della parola come costituente sintattico minimo è problematica, vista l'ambiguità teorica che caratterizza questa nozione. Nella linguistica moderna, si preferisce pertanto definire l'ambito dell'analisi 671 sintattica senza far riferimento a questa nozione, sottolineando piuttosto la compresenza di unità sintattiche di → rango diverso (→ morfemi, lessemi, → proposizioni, → periodi). Le relazioni di tipo sintattico possono essere considerate non solo in rapporto alla → funzione svolta dagli elementi linguistici nell'unità sintattica di appartenenza, ma anche in rapporto alla forma da essi assunta; in italiano, ad es., all'interno del sintagma nominale, si ha → accordo per le categorie di genere e numero tra il nome e i suoi determinanti (il vestito rosso); nella frase, accordo per persona e numero tra soggetto e verbo (i bambini dormono); in latino, ad uno stesso sintagma nominale possono essere assegnati diversi casi morfologici, in rapporto alla funzione sintattica svolta dal sintagma: nominativo, se si tratta di soggetto, accusativo, se si tratta dell'oggetto diretto, e così via. Qualora le funzioni sintattiche vengano espresse mediante variazioni morfologiche, il livello di analisi non è soltanto sintattico, ma piuttosto morfo-sintattico (→ morfosintassi). Nell'antichità, la distinzione tra sintassi e morfologia veniva interpretata come differenza tra funzione e forma: lo studio delle variazioni di forma assunte dalle parole - essenzialmente variazioni flessionali, vista la struttura delle lingue classiche - era di pertinenza della morfologia, mentre l'analisi delle funzioni svolte da queste forme nell'ambito della frase costituiva l'oggetto della sintassi. In realtà, nella lingua forme e funzioni si intrecciano strettamente, per cui diventa difficile tenerle separate: in latino, per es., la forma amicò di dativo/ablativo masch. sing. può assumere determinate funzioni in rapporto alle altre forme appartenenti allo stesso paradigma. Problematico più di quanto la tradizione grammaticale sia disposta ad ammettere risulta quindi tracciare confini netti che delimitino l'ambito di analisi sintattica rispetto a quello sintassi degli altri livelli normalmente riconosciuti; in particolare, il confine tra s e morfologia appare spesso incerto. Se è vero che tali delimitazioni dipendono in buona parte dal modello teorico prescelto, resta pur sempre il fatto che esistono aree intermedie in cui gli elementi hanno duplice statuto, tipicamente morfosintattico (cfr., ad es., il → caso). Parimenti stretti appaiono i rapporti tra lessico e s, visto che molti lessemi proiettano di per sé determinate valenze sintattiche; ad es. un nominale riferito ad un oggetto inanimato non può costituire il soggetto di un verbo che presupponga un → agente animato; cfr. *"Il tavolo ha mosso la sedia", accettabile soltanto nell'interpretazione in cui il tavolo abbia funzione di → strumentale come caso profondo (→ grammatica dei casi), e non di vero e proprio motore dell'azione. La s interagisce anche con la fonologia; alcuni tratti prosodici (→ prosodia), quali l'intonazione o l'accento, assumono infatti rilevanza sintattica in molti sistemi linguistici. Tuttavia, la s manifesta alcune proprietà specifiche, che la differenziano dagli altri livelli di analisi. Innanzitutto, le unità sintattiche non sono soltanto linearmente ordinate (-> linearità), ma anche strutturate gerarchicamente; ad es. nella frase "Ho visto una casa con un grande giardino", il sintagma preposizionale con un grande giardino è linearmente contiguo e strutturalmente dipendente dal sintagma nominale oggetto una casa, di cui rappresenta un'espansione; (…) In ambito sintattico si assiste inoltre ad una larga combinabilità degli elementi [cfr. Simone 1992], cioè ad una certa libertà nell'ordine dei costituenti, comunque regolata secondo principi specifici; ad es. sono accettabili sia "Vedrò mio padre domani" che "Domani vedrò mio padre" (ma non 672 *"Domani vedrò padre mio"). La morfologia è invece caratterizzata da una combinabilità stretta, poiché l'ordine dei morfemi è fisso e determinato per ogni sistema linguistico; ad es. considerazione, ma *zione-considera, abbiamo parlato, ma * parlato abbiamo (almeno nella lingua corrente, escludendo specifici registri, come quello poetico); In tutti i modelli teorici attuali, le unità sintattiche essenziali riconosciute come aventi uno statuto proprio sono il → sintagma e la → frase. In questi ambiti vengono analizzate la distribuzione e la funzione delle categorie grammaticali, sia all'interno dell'unità sintattica prescelta che in rapporto ad altre unità dello stesso rango o di rango superiore; ad es. nella frase "L'anello che mi hai regalato è bellissimo", il sintagma nominale l'anello costituisce il soggetto della proposizione principale, concordando quindi per numero con il verbo, e per numero e genere con l'aggettivo predicativo; allo stesso tempo, rappresenta l'i-» antecedente del pronome relativo che introduce la proposizione subordinata relativa, al cui interno il suddetto pronome funge da oggetto. In tal modo, la sequenza "L'anello che mi hai regalato" viene ad assumere una specifica valenza sintattica, illustrando una tipica costruzione sintagmatica composta da una -» testa (il sintagma nominale) e da un suo modificatore (la frase relativa). A livello di frase complessa, o periodo, le modalità di costruzione sintattica sono essenzialmente due: m coordinazione e subordinazione, a seconda che sia assente o presente un rapporto di dipendenza tra le proposizioni. L'analisi tipologica (→ tipologia) in s si è volta in primo luogo alla classificazione delle lingue in rapporto all'ordine basico dei tre costituenti principali nell'ambito della frase (-> ordine delle parole 2) cioè Soggetto (S), Verbo (V) e Oggetto (O); in base alla combinazione di questi costituenti sono teoricamente possibili sei diversi tipi [Greenberg 1966]), ma la loro frequenza di attestazione nelle lingue naturali è variabile: l'ordine SVO (ad es. italiano, francese, inglese) e quello SOV (ad es. turco, sherpa) sono i più attestati; relativamente diffuso è anche il tipo VSO (ad es. gallese), mentre gli altri sono abbastanza rari; l'ordine OSV, che viene comunemente considerato assente dalle lingue conosciute [cfr. Comrie 1981], è invece attestato in latino (ad es. Marium pater amat), per quanto l'ordine non marcate di norma assunto per questa lingua resti SOV. In alcuni casi, le lingue presentano ordini basici dei costituenti diversi a seconda del contesto sintattico; in tal senso, tipico è il caso del tedesco, che ha l'ordine SVO nelle frasi principali, ma quello SOV in quelle subordinate. Il riconoscimento della s come disciplina autonoma appartiene già alla riflessione grammaticale antica. Inizialmente, syntaxis indicava in greco ogni tipo di organizzazione strutturata del materiale linguistico: sequenza delle parole nella frase, ma anche → composizione lessicale, → reggenza verbale, → paradigma casuale, ecc. Soltanto con gli stoici si attua la separazione del dominio sintattico da quello morfologico, mantenuta dai grammatici latini, i quali, pur nel riconoscimento delle diversità strutturali esistenti tra le due lingue classiche, fondamentalmente continuano a muoversi sulle linee teoriche elaborate dai Greci, accentuandone il carattere normativo e formalistico. Da rilevare che il termine tecnico greco syntaxis viene tradotto in latino con constructio. Le grammatiche speculative medioevali sono caratterizzate dal prevalere dell'interesse logico e semantico su quello formale, di diretta tradizione classica; particolare attenzione viene riservata allo studio delle congruenze semantico-sintattiche all'interno della frase, con l'esplicito riconoscimento dell'inaccettabilità di sequenze formalmente corrette quali *"La pietra 673 ama il ragazzo" (cfr. Tommaso di Erfurt). L'interpretazione razionalistica della s troverà la sua più completa espressione nella grammatica di Port-Royal (1660): la grammatica è fondata sulla logica, con pieno recupero della dottrina aristotelica basata sui rapporti tra linguaggio e pensiero; risale tra l'altro a quest'epoca l'introduzione nella terminologia grammaticale di -> soggetto e -> predicato (termini però già presenti in Boezio), che vengono a costituire i due membri fondamentali della frase, come pure del giudizio logico. Lo studio della s continua a presentare una spiccata impronta razionalistica e logicizzante anche nel secolo seguente; le lingue di riferimento sono il latino ed il francese, che assurge al rango di lingua modello, con cui confrontare ogni altra struttura. Soltanto nel secolo scorso, con l'avvento della linguistica storico-comparativa, vengono abbandonati i pregiudizi razionalistici, mentre l'analisi si orienta verso la psicologia e verso la fisiologia. Le lingue indoeuropee antiche costituiscono l'oggetto principale di studio in s, come pure in fonetica e morfologia. I risultati raggiunti dalla s storica ottocentesca sono però nettamente inferiori a quelli conseguiti negli altri ambiti, anche in ragione della pluralità di approcci che essa manifesta (cfr. l'epiteto di Mischsyn-tax coniato da Ries [1894]), non sempre sorretti da una solida impalcatura teorica; tuttavia, lo storicismo tipico dell'epoca favorisce la raccolta di una grande messe di dati empirici, anche appartenenti a stadi linguistici diversi [cfr. Wackernagel 1926-28]. In questo periodo viene inoltre avviato lo studio del periodo, la cui struttura è considerata equivalente a quella della frase semplice: la proposizione subordinata causale equivale al complemento di causa, quella temporale al complemento di tempo, e così via. Nel Novecento, l'avvento dello strutturalismo segna l'imporsi di nuove tendenze anche in sintassi, con il prevalere dell'interesse sincronico su quello diacronico, e la parallela distinzione tra -→ invarianti e varianti linguistiche, a tutti i livelli di analisi. Nell'ambito della Scuola di Praga, Mathesius [1936] elabora una teoria sintattica funzionale, basata sulla contrapposizione -> tema/rema, ancor oggi in uso in ambito funzionalista (-» funzionalismo); a carattere funzionale è anche la s proposta da Martinet [i960; 1962], basata sulla nozione teorica di -> monema. Una posizione a sé stante occupa il modello sintattico di Tesnière [1959], in cui ogni frase viene rappresentata formalmente mediante una struttura di dipendenze reciproche, chiamata stemma, che illustra i rapporti gerarchici e le -→ valenze espresse dagli -→ attanti. Caratteri più tipicamente improntati al -*' distribuzionalismo ed al rifiuto del mentalismo presenta lo strutturalismo americano. Il suo caposcuola, cioè Bloomfield [1933], dopo aver rifiutato la tradizionale adozione della parola come unità sintattica, da sostituire con morfema ed -> enunciato (ingl. utterance), classifica le categorie grammaticali non in base a criteri semantici, ma in rapporto alle loro proprietà combinatorie. Sulla linea già indicata da Bloomfield, Wells [1947] giunge a proporre un'analisi in -+ costituenti immediati piuttosto complessa, in base alla quale la struttura della frase non è più semplicemente lineare, ma gerarchica, e rappresentabile formalmente mediante un -» albero sintattico (o grafo). Questo tipo di approccio viene ulteriormente sviluppato da Harris [1957] che pone, per alcuni aspetti almeno, le basi della teoria generativo-trasformazionale elaborata da Chomsky [1957].